Li paragonerei ai fratelli Grimm, se solo pensassi che tutta la loro vita è come una fiaba legata al filo di un uccello, il galletto del bosco, il sincopato Cuculo, che trova l’artistico suo risvolto in quella che devozionalmente chiamano a Gravina ”Cola Cola”, per turbare l’amore a Maria e nel giorno in cui l’Arcangelo Gabriele annunciò il concepimento del Figlio per mezzo dello Spirito Santo. E i bimbi insufflavano nell’ocarina e sincopavano il suono su un foro col dito fremente di gioia. Il trrenne Antonio Cardilli ha riempito appunto di gioia il cuore di Vincenzo e Beniamino Loglisci quando ne ha simulato il gesto riproducendone il suono e il canto ancestrale. E il bosco è stato il locus della loro fanciullezza e di altre età seriori che non abbiano voluto perdere mai i rapporti con l’incanto. Dicono, ancora oggi, che vanno “a scatenarsi” solo per dare alla tensione nervosa, che il modernismo arreca, quello sfogo necessario che si chiama Panismo, il contatto con la terra. Sono pure dannunziani in un certo senso, quelli della “Figlia di Iorio”, dell”’ Alcione” del bramito del cervo e dell’impressione di chi cerca l’uva passa in un arruffato pagliaio. Li vuoi trovare? Vai in piazza Benedetto XIII di Gravina in Puglia. Son nella cella monastica d’un laboratorio, consumati dal tempo, a manipolare l’argilla e argilla senza posa, a formale le Cola Cola che poi saranno cotte e dipinte in tanti colori che sono la primavera che rinasce e i suoni che ammaliano. Hanno varcato quella soglia personaggi e personaggi, bimbi e adulti, anche i morti che si muovono dal colle di Botromagno uscendo dai sarcofaghi per confrontare l’antico tintinnabulum al nuovo manufatto. Beniamino che ha avuto il fascino del conquistatore modella i cosidetti “mostri”, che sono tematiche granghignolesche o gruppi scultorei dalla scenografia ridanciana, pregresse conquiste. Vincenzo affabulatore e autobiografo di quand’era quella sorta di Lazarillo de Tormes nostrano. Con loro ho vissuto l’esperienza di far carbonella al bosco solo per il piacere di stare insieme ai due fratelli spassori e simpatici quanto una pasquetta occaso. Persone oneste e laboriose, sono note dappertutto per la loro genialità di artisti unici e indolenti del fatto che alcuni lestofanti plagiari abbaino copiato, a loro Cola Cola il cui il fischio fa il giro del mondo, mentre l’ocarina scopiazzata si fischia addosso. O cuculia se stessa. Comunque i Loglisci non temono avversari; anzi. Nel falso meglio si divisa il valore dell’autentico. E continuano a plasmare, demiurghi d’una creatura che possa portare nel mondo la pace, pajaro multicolore, multietnico, multivocale, Si, perché mi riporta alle Ande, ai precolombiani, a quella dei tangheros Perché, guarda caso, in particolare Vincenzo Loglici ha nell’aspetto qualcosa dei nobili antichi ballerini del ballo della sfida con la rosa e lo sguardo languido degli innamorati di quella Bellezza che non muore mai. E al pari si dica di Beniamino. Infatti, la morte, quando sarà, l’inviterà a una danza che non avrà niente delle movenze d’oltralpe ma la dolcezza dei passi della comparsita e il virile coraggio della milonga. Michele Murgese, dal libro “ Il Grillo Editore”
Volano con te, amico scomparso, quelle che modellasti in quantità infinita, d' argilla creature, rigate di colori e due fori che fecereo sussulto al cuore di noi, bambini. Pare uno stormo di esse nel cielo dei sogni, al freddo di questo giorno che le fa emigrare lontano per non sapere più dove vanno. E, io, che penserò di te come quando, temendo che si rompessero, le custodivo al riparo che gli anni tuttora le serbano al sorriso. Ma, questo, si è spento vedendoti con quelle labbra, che le rianimava, ora mute nella compostezza d' un addio che è il loro fischio ancora, verso un tramonto che ci nasconde. Odo, quel canto, spegnersi oltre un colle a cui offrivi il tuo sguardo, prima di andare. Spento, ormai, adesso, da palpebre che mirano colori nuovi: quelli di Dio. Michele Murgese-15 Gennaio, 2017 |